MANDO LE MACCHINE
Mi chiedono: " Dottoressa, cosa fa adesso che è in pensione? Si è cercata un nuovo lavoro? ha degli hobbies? volontariato? palestra? Che fa?" La risposta è: mando le macchine.
Sì, mando le macchine, la lavatrice, la lavastoviglie, l'asciugatrice, il forno a microonde, il folletto, il bimby, cercando di ottimizzare i consumi e il tempo, cercando di guadagnare sempre più tempo libero sollevando me stessa e gli altri dalle incombenze del quotidiano e rendere la mia e la loro vita più lieve. Ti pare poco? Rifletti allora un attimo, rifletti sull'uomo sempre più umano, sulla libertà dalla fatica, sul confort anglosassone come modello di vita in lotta con l'ambizione, l'apparire e il possedere. E vedrai che mandare le macchine ha un senso, che la scienza e la tecnologia hanno un senso se ti regalano più tempo per pensare, per oziare, per vivere e per sperare che un giorno tutti ne possano godere i vantaggi invece di subirne lo sfruttamento e il profitto.
Che fa dottoressa, usa le macchine per gli addominali, i dorsali, i lombari, i pelliciai della faccia? No, grazie, quelle le lascio a chi perde tempo per lottare contro il tempo.
26 apr 2011
25 apr 2011
MARC CHAGALL, l'ebreo bielorusso
Le opere di Chagall con Bella (in particolare quei pochi famosissimi quadri da cioccolatini in cui lei si libra nell'aria e lui le tiene la mano, lui è a cavalcioni su di lei e brinda con un calice rosso oppure entrambi volano abbracciati ) sono spesso utilizzate e abusate per rappresentare passioni e legami forti e intensi, avulsi dal contesto spaziotemporale del quotidiano. Ciò è particolarmente fuorviante e non aderente al concetto di nozze, famiglia e amore proprio di Chagall, che ebbe due spose, l'amata Bella, che MORI' nel 1944, e Valentina, compagna della seconda parte della sua vita.
IL CANTICO DEI CANTICI DI MARC CHAGALL
http://artemoderna.gqitalia.it/10/chagall-cantico-de--cantici/
Le opere di Chagall con Bella (in particolare quei pochi famosissimi quadri da cioccolatini in cui lei si libra nell'aria e lui le tiene la mano, lui è a cavalcioni su di lei e brinda con un calice rosso oppure entrambi volano abbracciati ) sono spesso utilizzate e abusate per rappresentare passioni e legami forti e intensi, avulsi dal contesto spaziotemporale del quotidiano. Ciò è particolarmente fuorviante e non aderente al concetto di nozze, famiglia e amore proprio di Chagall, che ebbe due spose, l'amata Bella, che MORI' nel 1944, e Valentina, compagna della seconda parte della sua vita.
IL CANTICO DEI CANTICI DI MARC CHAGALL
http://artemoderna.gqitalia.it/10/chagall-cantico-de--cantici/
ago
2009
Chagall: Cantico de' Cantici
scritto da Marta Breuning alle 13:46
La sposa
16 Lèvati, aquilone, e tu, austro, vieni,
soffia nel mio giardino
si effondano i suoi aromi.
Venga il mio diletto nel suo giardino
e ne mangi i frutti squisiti.
Cap. 5
Lo sposo
1 Son venuto nel mio giardino, sorella mia, sposa,
e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo;
mangio il mio favo e il mio miele,
bevo il mio vino e il mio latte.
Mangiate, amici, bevete;
inebriatevi, o cari.
QUARTO POEMA
La sposa
2 Io dormo, ma il mio cuore veglia.
Un rumore! E' il mio diletto che bussa:
«Aprimi, sorella mia,
mia amica, mia colomba, perfetta mia;
perché il mio capo è bagnato di rugiada,
i miei riccioli di gocce notturne».
3 «Mi sono tolta la veste;
come indossarla ancora?
Mi sono lavata i piedi;
come ancora sporcarli?».
4 Il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio
e un fremito mi ha sconvolta.
5 Mi sono alzata per aprire al mio diletto
e le mie mani stillavano mirra,
fluiva mirra dalle mie dita
sulla maniglia del chiavistello.
6 Ho aperto allora al mio diletto,
ma il mio diletto gia se n'era andato, era scomparso.
Io venni meno, per la sua scomparsa.
L'ho cercato, ma non l'ho trovato,
l'ho chiamato, ma non m'ha risposto.
Tra queste tele, troviamo le cinque tratte dal Cantico dei cantici, nella sala dedicata con tanta forza e chiarezza “A Vava, mia moglie / mia gioia e mia allegria. // Marc Chagall”.
La dedica, autografa e firmata, con i tre possessivi di prima persona, sembra segnalare una specie di anomalia: come se Chagall (e Vava con lui), che non aveva voluto intitolare il museo alla propria persona ma al Messaggio biblico, avesse voluto indicare la peculiarità del ciclo del Cantico; anche la posizione rispetto alle altre tele conferma l’impressione che in esso sia esposto un nucleo intimo, meritevole di particolare raccoglimento. Non si tratta, infatti di una semplice illustrazione del contenuto del Cantico, il poemetto d’amore della Scrittura che sia la tradizione ebraica sia la riflessione cristiana hanno sempre interpretato in senso allegorico, come raffigurazione del rapporto tra Dio e Israele (così, ad esempio, Rashi di Troyes, uno dei più illustri commentatori) o tra Dio e la Chiesa (Origene, Ambrogio, Agostino) o addirittura tra Dio e l’anima del singolo credente (Bernardo di Clairvaux, i cui Sermones super Cantica sono un capolavoro della teologia mistica medievale). Ciò che Chagall propone è una lettura personalissima e insieme un esercizio di sguardo tutto ebraico, radicato nella cultura ebraica dell’Europa dell’Est da cui il pittore proveniva e la cui sostanza portava con sé.
La lettura ebraica delle Scritture ha il suo vertice nel midrash – che è lettura-ricerca, amorosa e coinvolgente. E’ lettura aperta, che non sa quel che cerca e accarezza il testo fino a udirne la voce; è lettura che implica la relazione tra l’uomo che legge e il libro che viene letto, ma anche tra Dio e il mondo e tra entrambi e l’uomo stesso. Il midrash accoglie una pluralità di sensi senza pregiudizio per la verità, perché ciò che si cerca è una verità relazionale; è corale, e tutta la tradizione vi è presente – ma è anche personalissimo, impossibile senza il coinvolgimento immediato di colui che legge. E’ ben più che un’esegesi, perché il punto di arrivo non è una nuova comprensione del testo, bensì una novità nella vita concreta di chi si pone in dialogo con il testo. Quello di Chagall sul Cantico dei Cantici è un vero midrash – realizzato con i colori anziché con le parole.
fonte :internet articolo tratto da rivista Linea diretta
16 Lèvati, aquilone, e tu, austro, vieni,
soffia nel mio giardino
si effondano i suoi aromi.
Venga il mio diletto nel suo giardino
e ne mangi i frutti squisiti.
Cap. 5
Lo sposo
1 Son venuto nel mio giardino, sorella mia, sposa,
e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo;
mangio il mio favo e il mio miele,
bevo il mio vino e il mio latte.
Mangiate, amici, bevete;
inebriatevi, o cari.
QUARTO POEMA
La sposa
2 Io dormo, ma il mio cuore veglia.
Un rumore! E' il mio diletto che bussa:
«Aprimi, sorella mia,
mia amica, mia colomba, perfetta mia;
perché il mio capo è bagnato di rugiada,
i miei riccioli di gocce notturne».
3 «Mi sono tolta la veste;
come indossarla ancora?
Mi sono lavata i piedi;
come ancora sporcarli?».
4 Il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio
e un fremito mi ha sconvolta.
5 Mi sono alzata per aprire al mio diletto
e le mie mani stillavano mirra,
fluiva mirra dalle mie dita
sulla maniglia del chiavistello.
6 Ho aperto allora al mio diletto,
ma il mio diletto gia se n'era andato, era scomparso.
Io venni meno, per la sua scomparsa.
L'ho cercato, ma non l'ho trovato,
l'ho chiamato, ma non m'ha risposto.
Tra queste tele, troviamo le cinque tratte dal Cantico dei cantici, nella sala dedicata con tanta forza e chiarezza “A Vava, mia moglie / mia gioia e mia allegria. // Marc Chagall”.
La dedica, autografa e firmata, con i tre possessivi di prima persona, sembra segnalare una specie di anomalia: come se Chagall (e Vava con lui), che non aveva voluto intitolare il museo alla propria persona ma al Messaggio biblico, avesse voluto indicare la peculiarità del ciclo del Cantico; anche la posizione rispetto alle altre tele conferma l’impressione che in esso sia esposto un nucleo intimo, meritevole di particolare raccoglimento. Non si tratta, infatti di una semplice illustrazione del contenuto del Cantico, il poemetto d’amore della Scrittura che sia la tradizione ebraica sia la riflessione cristiana hanno sempre interpretato in senso allegorico, come raffigurazione del rapporto tra Dio e Israele (così, ad esempio, Rashi di Troyes, uno dei più illustri commentatori) o tra Dio e la Chiesa (Origene, Ambrogio, Agostino) o addirittura tra Dio e l’anima del singolo credente (Bernardo di Clairvaux, i cui Sermones super Cantica sono un capolavoro della teologia mistica medievale). Ciò che Chagall propone è una lettura personalissima e insieme un esercizio di sguardo tutto ebraico, radicato nella cultura ebraica dell’Europa dell’Est da cui il pittore proveniva e la cui sostanza portava con sé.
La lettura ebraica delle Scritture ha il suo vertice nel midrash – che è lettura-ricerca, amorosa e coinvolgente. E’ lettura aperta, che non sa quel che cerca e accarezza il testo fino a udirne la voce; è lettura che implica la relazione tra l’uomo che legge e il libro che viene letto, ma anche tra Dio e il mondo e tra entrambi e l’uomo stesso. Il midrash accoglie una pluralità di sensi senza pregiudizio per la verità, perché ciò che si cerca è una verità relazionale; è corale, e tutta la tradizione vi è presente – ma è anche personalissimo, impossibile senza il coinvolgimento immediato di colui che legge. E’ ben più che un’esegesi, perché il punto di arrivo non è una nuova comprensione del testo, bensì una novità nella vita concreta di chi si pone in dialogo con il testo. Quello di Chagall sul Cantico dei Cantici è un vero midrash – realizzato con i colori anziché con le parole.
fonte :internet articolo tratto da rivista Linea diretta
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