3 ago 2012

ti risvegli in un letto di ospedale dopo tre gorni di blackout e ti comunicano, con quelle faccette da quarantenni in carriera, che hai un glioma variabile dal basso grdo II al glioblastoma di alto grado IV con un'attesa di vita mediana di 37 mesi con DS da 3 mesi a Dio sa quanto. Posso esse un po' incazzata?  alla faccia della comunicazione e del counselling.. Peccato che intanto stavi a morire di embolia polmonare e che se dopo la dimissione non ti prescrivevi l'eparina da sola eri già bella e morta. Ma datevi fuoco.

1 giu 2011

Il cambiamento. Pare facile.

Noi ora dovremmo essere soddisfatti. Sono stati eletti tre rappresentanti di possibile cambiamento, non espressione del PDL senza L, provenienti da Rifondazione, SEL, IDV. Tre apparentemente e, speriamo, sostanzialmente, brave persone di buona volontà. Ma, c'è un ma. Perché questo avvocato sostenuto trasversalmente da precari e alta borghesia, questo ex PM parlamentare europeo, già appannato da un pannicolo di adipe e questo giovane già un pò invecchiato dovrebbero riuscire a operare un cambiamento attraverso l'amministrazione di queste tre città divenute simbolo? e con quali mezzi e nonostante chi? Io, cittadina di una capitale non morale, che grazie a Marrazzo, su cui pure avevamo riposto tante speranze, a Veltroni e a Rutelli, ha visto la sua Regione e il suo Comune consegnati nelle mani della destra più becera e pecoreccia, mi permetto di essere leggermente scettica. E devo anche dire che nell'amministrazione della Sanità, nella gestione dei servizi pubblici essenziali, della sicurezza e del decoro urbano, nelle politiche sull'occupazione e su tutto ciò che determina la qualità della vita di un cittadino, noi romani e laziali parassiti, immorali, fanulloni e ladroni nel cambiamento politico non abbiamo percepito alcuna significativa differenza se non quel progressivo degradino legato all'incalzante mordere della crisi, all'impoverimento e alla sfinitezza che avanza. Non c'è il pericolo che questi tre eroi nazionali cadano nella trappola del viceversa? La Moratti che resta Commissario Expo non mi tranquillizza affatto.

16 mag 2011

R2P - la responsabilità di proteggere

come piegare il diritto al profitto.
http://www.youtube.com/watch?v=yXUKR_CUu5g
http://www.carmillaonline.com/archives/2011/05/003900.html#003900
R2P + mondo, rebus geopolitico
di Luca Baiada (da Il Ponte, XLVII n. 5, maggio 2011)
RobertoMangosi.jpg[Pubblichiamo l'articolo senza le note, che potranno essere rintracciate sul numero indicato de Il Ponte.]
Cos’hanno in comune la fondazione Rockefeller, il papa, la Carnegie Corporation e il Consiglio mondiale delle chiese? E come mai la loro concorde attenzione al diritto internazionale calza su misura, a proposito di Africa? Già, perché le due risoluzioni del Consiglio di sicurezza sulla Libia fanno riferimento alla protezione dei civili, col frasario di una teoria che mette d’accordo persino le religioni: la responsibility to protect. In sigla, R2P.
Ma per cercare una risposta alle nostre domande, dobbiamo tornare indietro: alla fine del secolo scorso e all’inizio di questo.
Nel 2000, in Vaticano il papa Wojtyla celebra il giubileo. In Israele, Sharon sale in armi sulla spianata delle moschee, e comincia la seconda Intifada. Negli Usa, Bush perde le elezioni ma occupa la Casa Bianca. La guerra del Kosovo è finita da poco, e la Jugoslavia non esiste più.
In questo quadro, a settembre, all’Assemblea dell’Onu è annunciata l’istituzione dell’ICISS, International Commission on Intervention and State Sovereignty. L’iniziativa viene dal Canada, ma è da riferire a un più largo gruppo di interesse. Per individuarlo meglio, basta lasciar parlare il denaro: tra i finanziatori dell’ICISS ci sono appunto la Carnegie Corporation di New York, e le fondazioni Simons, Rockefeller, William and Flora Hewlett, e John D. and Catherine T. MacArthur.
A fine settembre 2001, l’ICISS presenta la sua relazione. Secondo la Commissione, sono possibili interventi militari ovunque, in base alla R2P, che sarebbe legittimata dalla Carta dell’Onu. Per superare il diritto di veto nel Consiglio di sicurezza, deve rafforzarsi la prassi dell’astensione costruttiva, e vanno tenute in considerazione le organizzazioni regionali (combinazione, somiglia a quanto accadrà in Libia: astensione di alcuni nel Consiglio, e ruolo confuso di un’organizzazione africana). Sempre per l’ICISS, la sovranità è responsabilità, e si raccomanda all’Onu di accogliere la teoria della R2P. Solo il Consiglio ha in parte dato seguito alla richiesta, mentre una risoluzione dell’Assemblea nel senso voluto non c’è stata (ce n’è stata una più sbiadita).
Al centro della questione c’è la nozione di sovranità, che si vorrebbe «ricaratterizzare». Questo ha il sapore di una beffa storica. Quando le nazioni povere non contavano nulla, la sovranità era impermeabile, e regolava fondamentalmente rapporti tra ricchi. Fra loro l’ingerenza era vietata (malgrado questo, ci sono state brutali rese dei conti); gli altri erano protettorati. Insomma, sovranità piena. Adesso che nuovi stati si sono affacciati alla storia, e che è finita la contrapposizione fra i blocchi, sovranità dimezzata.
La disinvoltura con cui l’ICISS trascura questi aspetti è confermata dalla sua convinzione che si possano predisporre pacchetti-giustizia preconfezionati, justice packages, comprendenti anche uno standard model penal code. Portare giustizia è un programma importante, ma attenzione: imporre un sistema giuridico è un crimine già evidenziato col processo di Norimberga. Nei principi giuridici che ne furono tratti, c’è la condanna dell’intervento negli affari di uno stato, anche solo con mezzi economici o politici. Quindi, intesa senza misura la R2P consentirebbe l’ingerenza istituzionale con mezzi persino più aggressivi di quelli che a Norimberga furono considerati criminali.
L’ICISS si esprime anche sulla questione mediatica, sottolineando la necessità del governo dell’informazione: «Non c’è dubbio che la cronaca ben fatta, le opinioni ben argomentate e specialmente la trasmissione immediata di immagini di dolore producano la spinta interna e internazionale a intervenire. L’“effetto Cnn” può essere quasi irresistibile». Più chiaro di così. Il ricordo corre ai casi celebri di immagini false o manipolate: soldati iracheni che invadono un ospedale in Kuwait, uccelli morenti in pozze di petrolio, un civile scheletrico dietro il filo spinato in Jugoslavia, una militare Usa liberata in Iraq dai suoi commilitoni.
Vediamo il seguito della R2P.
Dopo il 2001, non ha alcun effetto contro le aggressioni all’Afghanistan e all’Iraq, crimini condannati anche dai più consapevoli giuristi italiani.
Nel 2005 una delibera dell’Unione africana contiene un vago riferimento alla teoria. Ma soprattutto, chiede almeno due membri permanenti nel Consiglio di sicurezza, con diritto di veto, e il rispetto della Carta di Algeri del 1976 (la Carta ribadiva il diritto all’autodeterminazione dei popoli). Richieste senza esito. Nello stesso anno, col 2005 World Summit Outcome l’Assemblea riconosce la R2P, ma fa riferimento a un’azione collettiva, attraverso il Consiglio di sicurezza, in conformità alla Carta dell’Onu, in collaborazione con le organizzazioni regionali. Questa affermazione non aggiunge quasi nulla, come osserva Noam Chomsky.
In seguito, il World Summit Outcome è citato nella risoluzione del Consiglio di sicurezza 1674 del 28 aprile 2006, sulla protezione dei civili nei conflitti armati. L’atto, in un primo momento oscuro, diventa più chiaro quando è richiamato dal Consiglio nella risoluzione 1706 del 31 agosto, sul Darfur.
Poi, la R2P riceve ulteriore appoggio dall’alto, molto dall’alto. All’Assemblea dell’Onu, il 18 aprile 2008, il papa attribuisce la R2P allo ius gentium, e addirittura a Francisco De Vitoria, un domenicano del Cinquecento. Due giorni dopo, il direttore dell’«Osservatore romano» Giovanni Maria Vian scrive:
«Una legge naturale iscritta nel cuore di ogni essere umano, fondata sull’origine comune delle persone […] Questa nuova “responsabilità di proteggere” deve riguardare tutti i diritti umani, e dunque anche quello alla libertà religiosa
La R2P che il papa intravede nel Cinquecento, per Vian è nuova. A conclusioni prestabilite si giunge per strade diverse, anche opposte. Ma «La civiltà cattolica» va oltre. Ricorda le dichiarazioni di Wojtyla sulla guerra, le collega alla presa di posizione di Ratzinger e sintetizza con questo funambolismo: «Nel catechismo della chiesa cattolica è implicita la dottrina della R2P». È nuova, ma era nello ius gentium; la vagheggiavano nel Cinquecento, e abita nel catechismo. Più versatile del prezzemolo.
A gennaio 2009, il Segretario generale dell’Onu approva il rapporto Implementing the responsibility to protect, un documento ambizioso ma confuso. Lo sfondo storico, lo descrive così: «Il Ventesimo secolo è stato sfigurato (marred) dall’Olocausto, dai campi di sterminio in Cambogia, dal genocidio in Ruanda e dagli eccidi di Srebrenica». Una narrazione accomodata che sparpaglia la violenza per tre continenti. Va notata, oltre all’assenza degli altri due, la condanna del XX Secolo, un elemento che vedremo ripreso dal papa. Per ora notiamo che il secolo è marred. È una parola negativa usata più volte nella Bibbia di Re Giacomo.
Pochi mesi dopo, a giugno 2009, l’enciclica Caritas in veritate riafferma l’appoggio alla R2P. Lo stesso documento chiede «il governo della globalizzazione». L’Italia si adegua subito: ad agosto il ministro degli esteri Franco Frattini sostiene la R2P, e addirittura propone di non considerare democrazie i sistemi politici basati su elezioni, se non rispettano i diritti umani.
Il 14 settembre, una risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu prende solo atto della situazione, e decide di continuare a tenere in considerazione la R2P.
Ma adesso, va citato un fatto apparentemente remoto, e invece rilevante. A gennaio 2010 nella sinagoga di Roma si incontrano il papa, chierici e rabbini, e i rappresentanti della Comunità ebraica romana e dell’Unione delle comunità ebraiche italiane. I discorsi di quel giorno fanno riferimento all’ambiente, ai diritti umani, e a un concetto criptico: la «cura del creato». Il papa esprime un giudizio drasticamente negativo sul XX Secolo, proprio come ha fatto il Segretario dell’Onu. In particolare, per quello che qui interessa, c’è da chiedersi se il concetto di ambiente indichi in realtà lo spazio geopolitico, inteso come oggetto di controllo. E ciò, anche per il contenuto del messaggio per la giornata della pace 2010. E perché a gennaio 2010, nel discorso al corpo diplomatico presso il Vaticano, il papa ribadisce la necessità di protezione del mondo: «ripeto con forza che, per coltivare la pace, bisogna custodire il creato!». Nello stesso mese, rivolgendosi all’assemblea della Congregazione per la dottrina della fede (di cui è stato a lungo il prefetto), parla di diritto dicendo che alcuni contenuti del cristianesimo «iscritti nel cuore dell’uomo, sono comprensibili anche razionalmente come elementi della legge morale naturale».
Sempre a gennaio 2010, ancora il ministro Frattini sull’«Osservatore romano» si riporta all’enciclica Caritas in veritate e al messaggio per la giornata della pace, e aggiunge: «Democrazia e diritti umani sono componenti essenziali della nostra azione nel mondo». Fa un brutto effetto, che su una questione così ampia un ministro della Repubblica italiana si esprima direttamente sul quotidiano del Vaticano. Fa un effetto ancora peggiore, che accetti un semplice ruolo responsorio del pensiero altrui. Ma se un ministro si ispira al papa, può forse accadere persino il contrario? Ne è convinto il quotidiano confindustriale, quando sostiene che un altro ministro, Giulio Tremonti, ha contribuito alla Caritas in veritate, col suo libro La paura e la speranza. Di certo, va tenuto presente che l’enciclica compare all’inizio della crisi economica in cui si iscrivono i nuovi conflitti. A prescindere da chi davvero ispiri e chi si lasci ispirare, nella filigrana di queste reciprocità si leggono due cose: la prima è il vero volto di chi comanda in Italia; la seconda, che nell’orientamento di questo ceto dirigente tutto avvicina l’economia e la geopolitica, ma nulla è a favore degli italiani.
Traendo qualche conclusione, siamo di fronte a una dura partita per la sistemazione simbolica della storia e del mondo, del tempo e dello spazio, e soprattutto per la definizione dell’esercizio giusto della violenza. Tutto questo impianto riguarda il possesso del mondo e la conformazione della civiltà (quindi, il diritto-dovere di tutelarla). Vi sono anche ombre religiose: il Vaticano si impegna per la R2P, sostenuta dall’«Osservatore romano» e dalla rivista dei gesuiti. Allo stesso tempo, il progetto del 2000 è finanziato da organizzazioni connesse all’ambiente ebraico statunitense, come Carnegie e Rockefeller, e almeno un sostenitore della R2P dà alla teoria una dichiarata argomentazione ebraica. E ancora, dal 2003 la R2P riceve impulso dal World Council of Churches (ne fanno parte oltre 300 chiese evangeliche e ortodosse). Sarebbe difficile accertare l’origine della R2P: il papa, la fondazione Rockefeller, le chiese che si richiamano alla riforma o all’ortodossia? Certamente, non è stato il remoto Francisco De Vitoria: la R2P nasce dopo la liquidazione della Jugoslavia. Già, ma perché proprio allora? Probabilmente perché nella ridefinizione dei confini in Europa, negli anni Novanta, hanno avuto un ruolo le nazionalità, cioè insiemistiche definite per lingue, religioni, etnie vere o dubbie. Accantonata quella partita, torna comoda un’insiemistica diversa: i civili.
Un altro elemento ha un ruolo nella R2P: i diritti umani. La loro frequentazione dimostra un’investitura che legittima la forza, la loro assenza dimostra la colpa. Ma proviamo per un attimo a mettere alla prova i diritti umani, osservando qualcosa su quelli alla partecipazione politica. Durante la campagna elettorale del 2010, interviene Roberto Saviano:
«L’Italia […] dovrebbe chiedere all’Osce, all’Onu, alla Comunità europea di inviare osservatori nei territori più difficili, durante le fasi ultime della campagna elettorale. […] Le mafie sono un problema internazionale e internazionalmente vanno contrastate. L’Italia non può farcela da sola. Le organizzazioni criminali stanno modificando le strutture politiche dei paesi di mezzo mondo. Negli Usa considerano i cartelli criminali italiani tra le prime cause di inquinamento del libero mercato mondiale. […] Sarebbe triste che i cittadini, gli elettori italiani, dovessero rivolgersi all’Onu, all’Unione Europea, all’Osce per vedere garantito un diritto che ogni democrazia occidentale deve considerare normale: la pulizia e la regolarità delle elezioni
Questo intellettuale controverso fa bene a segnalare un fatto vero. Eppure, persino il blocco politico che lo stima incondizionatamente stenta ad ammettere che possa essere l’Italia ad aver bisogno di aiuto.
I diritti umani esistono, e sono importanti. Quando si tratta di definirli e di verificarne il rispetto, però, si scopre che torna comodo reclamarli solo a casa d’altri. Così, i più limpidi propositi si offuscano, e i più ampi progetti si rivelano poveri di prospettive. Largheggiano di mezzi, invece, gli enti che coltivano la R2P. Hanno sede a New York la International coalition for the responsibility to protect (ICRtoP), e il Global centre for the responsibility to protect (GCR2P).
Insomma, la R2P è un istituto nato dentro una complessa partita geopolitica e simbolica, discusso dai più accorti osservatori. Fa riferimento a problemi reali, e sarebbe velleitario sottovalutarli. E anche se quanto sta accadendo ha ben altre cause, che diatribe giuridiche o filosofiche, tenere presente la R2P offre un interessante punto di osservazione. Anche perché non c’è da illudersi: stuzzicati al momento opportuno, o allevati come galline dalle uova d’oro, i problemi cui la R2P si riferisce si ripresenteranno presto e parecchio.
Pubblicato Maggio 15, 2011 03:55 AM

3 mag 2011

http://www.juragentium.unifi.it/it/surveys/wlgo/double.htm

Il doppio binario della giustizia penale internazionale (*)

Danilo Zolo

Abstract

Dal 1946 ad oggi non è stato mai celebrato alcun processo per presunti crimini di aggressione, e ciò malgrado il fatto che siano numerosi i casi in cui gli Stati hanno compiuto atti di aggressione, talvolta giudicati tali anche dal Consiglio di Sicurezza. Sì è andato così affermando un sistema dualistico di giustizia penale internazionale. I crimini di jus in bello, normalmente meno gravi del crimine di aggressione, sono stati perseguiti e puniti con severità, in particolare dall'ICTY. Invece "il crimine internazionale supremo" - la guerra di aggressione -, per lo più commesso da autorità politiche e militari di grandi potenze, è stato ignorato e i suoi responsabili restano indisturbati al vertice del potere internazionale.

26 apr 2011

MANDO LE MACCHINE
Mi chiedono: " Dottoressa, cosa fa adesso che è in pensione? Si è cercata un nuovo lavoro? ha degli hobbies? volontariato? palestra? Che fa?" La risposta è: mando le macchine.
Sì, mando le macchine, la lavatrice, la lavastoviglie, l'asciugatrice, il forno a microonde, il folletto, il bimby, cercando di ottimizzare i consumi e il tempo, cercando di guadagnare sempre più tempo libero sollevando me stessa e gli altri dalle incombenze del quotidiano e rendere la mia e la loro vita più lieve. Ti pare poco? Rifletti allora un attimo, rifletti sull'uomo sempre più umano, sulla libertà dalla fatica, sul confort anglosassone come modello di vita in lotta con l'ambizione, l'apparire e il possedere. E vedrai che mandare le macchine ha un senso, che la scienza e la tecnologia hanno un senso se ti regalano più tempo per pensare, per oziare, per vivere e per sperare che un giorno tutti ne possano godere i vantaggi invece di subirne lo sfruttamento e il profitto.
Che fa dottoressa, usa le macchine per gli addominali, i dorsali, i lombari, i pelliciai della faccia? No, grazie, quelle le lascio a chi perde tempo per lottare contro il tempo.

25 apr 2011

MARC CHAGALL, l'ebreo bielorusso

Le opere di Chagall con Bella (in particolare quei pochi famosissimi quadri da cioccolatini in cui lei si libra nell'aria e lui le tiene la mano, lui è a cavalcioni su di lei e brinda con un calice rosso oppure entrambi volano abbracciati ) sono spesso utilizzate e abusate per rappresentare passioni e legami forti e intensi, avulsi dal contesto spaziotemporale del quotidiano. Ciò è particolarmente fuorviante e non aderente al concetto di nozze, famiglia e amore proprio di Chagall, che ebbe due spose, l'amata Bella, che MORI' nel 1944, e Valentina, compagna della seconda parte della sua vita.


IL CANTICO DEI CANTICI DI MARC CHAGALL
http://artemoderna.gqitalia.it/10/chagall-cantico-de--cantici/


ago
2009

Chagall: Cantico de' Cantici

scritto da Marta Breuning alle 13:46
La sposa
16 Lèvati, aquilone, e tu, austro, vieni,
soffia nel mio giardino
si effondano i suoi aromi.
Venga il mio diletto nel suo giardino
e ne mangi i frutti squisiti.



Cap. 5
Lo sposo
1 Son venuto nel mio giardino, sorella mia, sposa,
e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo;
mangio il mio favo e il mio miele,
bevo il mio vino e il mio latte.
Mangiate, amici, bevete;
inebriatevi, o cari.
QUARTO POEMA
La sposa
2 Io dormo, ma il mio cuore veglia.
Un rumore! E' il mio diletto che bussa:
«Aprimi, sorella mia,
mia amica, mia colomba, perfetta mia;
perché il mio capo è bagnato di rugiada,
i miei riccioli di gocce notturne».
3 «Mi sono tolta la veste;
come indossarla ancora?
Mi sono lavata i piedi;
come ancora sporcarli?».
4 Il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio
e un fremito mi ha sconvolta.
5 Mi sono alzata per aprire al mio diletto
e le mie mani stillavano mirra,
fluiva mirra dalle mie dita
sulla maniglia del chiavistello.
6 Ho aperto allora al mio diletto,
ma il mio diletto gia se n'era andato, era scomparso.
Io venni meno, per la sua scomparsa.
L'ho cercato, ma non l'ho trovato,
l'ho chiamato, ma non m'ha risposto.



Tra queste tele, troviamo le cinque tratte dal Cantico dei cantici, nella sala dedicata con tanta forza e chiarezza “A Vava, mia moglie / mia gioia e mia allegria. // Marc Chagall”.

La dedica, autografa e firmata, con i tre possessivi di prima persona, sembra segnalare una specie di anomalia: come se Chagall (e Vava con lui), che non aveva voluto intitolare il museo alla propria persona ma al Messaggio biblico, avesse voluto indicare la peculiarità del ciclo del Cantico; anche la posizione rispetto alle altre tele conferma l’impressione che in esso sia esposto un nucleo intimo, meritevole di particolare raccoglimento. Non si tratta, infatti di una semplice illustrazione del contenuto del Cantico, il poemetto d’amore della Scrittura che sia la tradizione ebraica sia la riflessione cristiana hanno sempre interpretato in senso allegorico, come raffigurazione del rapporto tra Dio e Israele (così, ad esempio, Rashi di Troyes, uno dei più illustri commentatori) o tra Dio e la Chiesa (Origene, Ambrogio, Agostino) o addirittura tra Dio e l’anima del singolo credente (Bernardo di Clairvaux, i cui Sermones super Cantica sono un capolavoro della teologia mistica medievale). Ciò che Chagall propone è una lettura personalissima e insieme un esercizio di sguardo tutto ebraico, radicato nella cultura ebraica dell’Europa dell’Est da cui il pittore proveniva e la cui sostanza portava con sé.

La lettura ebraica delle Scritture ha il suo vertice nel midrash – che è lettura-ricerca, amorosa e coinvolgente. E’ lettura aperta, che non sa quel che cerca e accarezza il testo fino a udirne la voce; è lettura che implica la relazione tra l’uomo che legge e il libro che viene letto, ma anche tra Dio e il mondo e tra entrambi e l’uomo stesso. Il midrash accoglie una pluralità di sensi senza pregiudizio per la verità, perché ciò che si cerca è una verità relazionale; è corale, e tutta la tradizione vi è presente – ma è anche personalissimo, impossibile senza il coinvolgimento immediato di colui che legge. E’ ben più che un’esegesi, perché il punto di arrivo non è una nuova comprensione del testo, bensì una novità nella vita concreta di chi si pone in dialogo con il testo. Quello di Chagall sul Cantico dei Cantici è un vero midrash – realizzato con i colori anziché con le parole.

fonte :internet articolo tratto da rivista Linea diretta
Questa è la tela più completa: tutti gli elementi delle precedenti vi sono in qualche modo compresi o richiamati. Il centro, come nella I, nella II e nella III, è spostato a destra: sono i due uccelli schiena contro schiena, che si dipartono in due direzioni diverse. A sinistra, la colomba vola verso Marc e Bella, sposi giovanissimi: i visi di entrambi non lasciano dubbi sull’identità. A sinistra della colomba, dunque, è rappresentata l’epoca del matrimonio tra Marc e Bella, sintetizzato nei suoi elementi essenziali: la colomba stessa, il sole e la luna fusi assieme, i volti come isolati da tutto, il gesto emozionato della passione – la loro vita in due, alta su Vitebsk (a sinistra, ben visibili, le cupole della cattedrale ortodossa di Vitebsk, presenti anche nella III tela). Quel sole fuso con la luna, forse, rimanda all’innocente baldanza, alla spensieratezza un po’ clownesca di due giovani nei primi tempi del loro matrimonio – quella speranza sorridente e un po’ chiassosa di cui difficilmente il mondo ha pietà o rispetto. A destra, invece, l’uccello rosso (un corvo, forse, legato al lutto e alla sventura), sul capo di chi si va allontanando da Vitebsk (il viandante della III tela) portando un’arpa scura come la propria veste (è dorata, invece, l’arpa del re-poeta nella II tela): è il momento del lutto, e dell’inevitabile esilio dal mondo che il lutto rappresenta – quel durissimo dover andare, stringendo al petto il poco che resta: doversi allontanare per sempre, senza speranza, dal mondo conosciuto.
La figura all’estrema destra non è un fantasma né una figura di sogno: è Valentina, la sposa futura, che sorge da Gerusalemme, diafana come chi ancora non è nel mondo delle presenze; si dirige verso l’esule, ed egli le va inconsapevolmente incontro. Altre figure popolano il quadro; significativo, soprattutto, l’agnello incoronato in basso a sinistra, che è animale messianico – come se questo esilio tutto personale contenesse una promessa di salvezza, in parallelo all’esilio di Israele. Le tavole del Patto stanno a destra, in basso. Al centro, sempre in basso, il libro aperto: è il Cantico della I tela – anche il lutto e l’esilio ne fanno parte, così come la sposa futura, come Vitebsk e Gerusalemme e il mondo intero. E’ una storia d’amore – è sacra, è vera.
Chagall, dunque, ha composto il proprio Cantico dei cantici: un poema su ciò che l’amore fu nella sua vita – sui suoi colori, sui vòlti e le figure che vi ebbe. Allo stesso tempo, ci ha dato un poema sull’amore nella vita di Israele, e un midrash inarrivabile sul testo delCantico.
L’imperativo sembra essere uno solo, tutto ebraico:izqòr, ricorda. E, insieme, shemà, ascolta – con gli occhi, certo, ma pur sempre “con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze”.

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INella prima tela, abbiamo di fronte un dialogo gioioso tra le varie dimensioni della realtà: un mondo animato di presenze molteplici. Tutto sembra dipartirsi dalla coppia in basso a destra[1]: la diagonale centrale unisce due emisferi della realtà, che non sono in reciproca opposizione ma che si richiamano e si riprendono a vicenda. Come è detto nel Cantico dei cantici, la testa della sposa è sul petto dello sposo, e la destra di lui l’abbraccia; a sinistra, verso l’alto, c’è un’altra coppia nello stesso atteggiamento – un re coronato, certamente Davide, assieme a Betsabea, la donna per la quale arse di passione fino a violare ogni legge umana e divina. A destra, in basso, abbiamo un libro aperto: è il Cantico stesso; a sinistra, in alto, troviamo il trono di Gerusalemme e i simboli dell’Alleanza. A destra, in basso, vediamo una colomba, legata a Noè e al patto tra Dio e l’umanità (Dio promise che mai più dopo il diluvio, qualunque cosa fosse accaduta, avrebbe annientato la sacralità della vita terrestre, con il suo brulicare di coppie feconde). La colomba annunciò il ritiro delle acque, e con esso la possibilità di una rinascita della vita stessa; già nel racconto della creazione, Dio distinse una prima volta l’asciutto dal bagnato e assegnò la terra emersa alle creature terrestri perché vivessero e si moltiplicassero. In alto, a sinistra, vediamo una mano, assieme alla luna e alla stella di Davide. La mano dal cielo ci riporta alla creazione e anche all’azione di donare l’Alleanza da parte di Dio; la luna governa le maree e con esse il ritiro della acque, regola il ciclo femminile ed è legata al tempo, perché il calendario ebraico è lunare, ed è la luna che segna i momenti della vita dell’intero Israele; la stella di Davide, unita a tutto questo, sembra dirci che siamo di fronte a una concezione dell’amore tipicamente ebraica, legata al Patto, che fa parte dell’alleanza tra Dio e Israele (e tra Dio e tutta l’umanità e gli esseri viventi in generale): l’amore è realtà creaturale.
La diagonale principale, inoltre, divide il mondo in due, ma con corrispondenze forti: a sinistra, la città (Gerusalemme) diventa luogo di ricerca, di desiderio e di schermaglia amorosa (come è nel Cantico); a destra, invece, si apre una porzione di universo animata e assai suggestiva, come uno specchio appagato e armonioso dell’altra
II

La seconda tela sembra raffigurare un sogno: una dormiente sta distesa nella chioma di un albero coricato, sopra una città addormentata, da cui una mano si protende alla luna, mentre un re-poeta si libra nell’aria; c’è un volto maschile nella chioma dell’albero reclinato, assieme alla testa di un asinello; una donna è accostata al tronco, alla base dello stesso albero, mentre un gregge pascola, e le case sono come un altro gregge nella lontananza. Eppure, non si tratta di un sogno: è la rappresentazione spaziale di una peculiare concezione del tempo, tutta ebraica, e della vita di Chagall stesso.

Nel museo di Nizza è presente un altro albero coricato: si trova nel mosaico posto all’esterno e visibile da una vetrata, nella sala accanto a quella del Cantico. Il mosaico rappresenta lo zodiaco, con al centro il profeta Elia; in corrispondenza della Bilancia c’è un albero coricato. Bella morì sotto quel segno; Chagall la chiamava “il mio albero della vita”. Nella II tela del Cantico, il viso della dormiente è esattamente il viso di Bella: la dormiente è Bella nella morte in cui si trova ora, quando Marc dipinge. La sala del Cantico è dedicata a Valentina (Vava) Brodskij, nuova moglie di Chagall: tutto ciò che egli ha posto in questa sala riguarda direttamente le due donne della sua vita - la delicatezza del loro rapporto, la loro rispettiva e assoluta unicità in due diverse stagioni dell’esistenza, la loro inspiegabile compresenza, ciascuna nella propria verità.

L’albero della vita è stato divelto: esso permane nel tempo a venire, così coricato; e contiene Bella abbandonata, dormiente. Bella ha lo stesso colore dell’albero, che è a sua volta lo stesso del mondo di cui l’albero occupa tanta parte. E’ librata sulla città, sospesa, chiusa in se stessa, inaccessibile, alta su Gerusalemme, sulla luna, su una mano che dalla città addormentata si protende alla luna stessa, al cielo, a Dio e a lei: è parte di un universo etereo, raccolto come in un grembo di luce chiara e soffusa, il cui confine è segnato da una linea curva e luminosa (è un mondo sempre rosso, ma misto al bianco); la città e il mondo che sta sotto di lei, invece, sono aperti e disposti orizzontalmente. L’albero, che attraversa i due mondi e ne assume entrambi i colori ha le radici nel mondo più rosso, quello in basso: dove pascolano le pecore, la città vive e la mano si protende nel cielo - per desiderio o in preghiera o, perché no?, per entrambi.

A sinistra, in basso, un’altra donna sembra uscire dallo stesso albero: è Valentina, possiamo affermarlo senza ombra di dubbio (anche alla luce della tela che segue, e delle fotografie che la ritraggono). Anche lei guarda verso lo spettatore, ma con gli occhi aperti. Non che lei sia piccola, mentre Bella è grande: ciascuna è del colore e della dimensione della parte del mondo in cui vive. Bella è più grande, ma è più bianca: il ricordo, si sa, dilata, ma toglie anche consistenza. Valentina è rossa come il suo mondo, ed è in proporzione con gli elementi che lo compongono: città, case, pecore. Bella è nuda, abbandonata nel sonno e vive nella chioma coricata del tronco; Valentina è in piedi, vestita, gli occhi aperti, appoggiata al tronco. La presenza del gregge sembra legata a lei: nel Cantico (I, 7), l’amata è una pastorella.

Il tempo può morire; il tempo può nascere. Non ha cicli, ma stagioni: è fatto di unicità diverse, irripetibili, mai in competizione tra loro né tali da annullarsi a vicenda; possono parlarsi, invece, e aiutarsi reciprocamente, custodirsi e benedirsi l’un l’altra. Non devono confondersi, perché sono unicità, non iterazioni. Nella stagione di Bella – chiusa in sé, ravvolta in un grembo ovattato, aerea - c’è Vitebsk: è l’asinello in alto a destra, che così spesso rappresenta la cittadina natale nei quadri di Chagall, e ne è l’emblema. C’è Chagall stesso: un volto giovane accanto a Bella, che di lei e del suo mondo ha lo stesso colore (ed è indubbiamente il volto di Chagall, che si autoritrae tornando ai propri lineamenti di allora). Quando muore una moglie amata dall’adolescenza, porta con sé la nostra giovinezza, assieme agli anni e ai luoghi – solo accanto a lei li potremmo ritrovare, nel suo mondo. Nella stagione di Valentina c’è la città, rossa e intensa; c’è il gregge che pascola, e con il gregge le mille cure quotidiane di chi veglia; c’è la mano che sale verso il cielo - invocazione e speranza.

Nel cielo di Bella c’è anche il re-poeta, con due ali: una verde (nella cultura yiddish, il verde è il colore dell’emozione, e si dice “sono verde” per “sono emozionato”), e l’altra bianca. Bianche sono tutte le spose delle tele del ciclo, bianco è il trono, bianca sarà la coppia della tela seguente: il bianco, dunque, sembra essere il colore della nuzialità – o meglio, di ciò che è originario, creato da Dio che lo vide buono e lo benedisse per farne una parte imprescindibile della vita umana. Il trono di Israele è bianco per questo: è nel Patto - siamo in ambito ebraico.

Unico è il colore, diverse sono le tonalità; diverse sono le dimensioni delle figure, perché diversa ne è la consistenza; ognuna delle due donne abita a modo proprio nella vita di Chagall. Bella ha gli occhi chiusi, Valentina li ha aperti; Bella è inconsapevole, passiva, mentre Valentina veglia e agisce. Nessuno può arrivare a Bella senza attraversare Valentina; nessuno può toccare il tronco che Valentina custodisce nelle sue radici, difendendolo da chiunque; è grazie a lei che Bella permane così eterea, nel suo mondo chiuso come un grembo. Il tempo è uno, e la sua essenza è il rosso dell’amore e del sangue, cioè il colore di ciò che è creato, pur nelle sue diverse gradazioni; molteplici le unicità; delicatissimo il loro rapporto.

Posso aggiungere, a titolo personale: nulla finisce, tutto si compie. Nulla resta, tutto vive la propria stagione e compiendola affianca, sostiene, nutre e benedice le nuove stagioni. La consapevolezza di questa creaturalità “stagionale” ìnsita nel tempo esige una fedeltà profonda - del resto, fedeltà (‘emunà) è la parola ebraica per dire “religione”.

Le figure in alto a sinistra, forse, ci dicono che non siamo soli: il mondo è popolato anche di figure che non vediamo né conosciamo – anzi, che non immaginiamo. Non è obbligatorio dire esattamente chi siano. Sta scritto che “non è bene che l’uomo sia solo”, e non sappiamo fino a che punto l’Eterno si sia spinto nel darci compagnia.

Giustamente, una mano si protende alla luna. La luna, s’è detto, è legata al ciclo femminile, alle maree, alla vita (ritiro delle acque), al tempo (calendario lunare). Forse, l’aspetto prevalente è quello del rapporto tra la femminilità, con i suoi cicli di fecondità, e il mistero delle stagioni in cui il tempo articola se stesso. L’alone della luna è rosso, ma più vivo nel grembo etereo che custodisce la dormiente; e la luna ha, nel rosso vivo del mondo di sotto, il colore chiaro di quello stesso grembo. E’ la luna, non la dormiente, il centro di irradiazione del quadro, la cui struttura è simile a quella del precedente, solo un po’ più articolata. Lungo una serie di diagonali, a partire dalla luna, troviamo il viso di Bella, l’asinello di Vitebsk, il viso del pittore, il re-poeta Davide, il trono di Gerusalemme, e poi Gerusalemme e Valentina sulla stessa linea orizzontale. La direzione dell’albero coricato è contraria a tutte le altre: l’albero della vita ha incontrato la morte; la vita, cioè, ha invertito la propria direzione; il ricordo e il mondo ricordato si dipartono all’indietro dal presente. Fondamento del presente, che rende possibile anche l’esistenza del ricordo nelle sue caratteristiche, è Valentina.

Resta l’albero in alto a destra: vuole richiamarci il carattere onirico del quadro? Non credo, perché qui di onirico non c’è nulla: la realtà viene rappresentata con un’evidenza e una precisione impressionanti. Fa pensare piuttosto alla libertà del reale: se un albero volesse stare a testa in giù con le radici nel cielo e l’Eterno acconsentisse, non dovremmo né stupirci né sentirci offesi. Ci sarebbe da riflettere anche sulla figura del re-poeta e sulla sua arpa: qual è il luogo dell’arte, quali le sue ragioni e caratteristiche. Davide sembra planare cantando e suonando sul trono bianco di Gerusalemme; bianche sono le sue ali, una delle quali è colorata di verde; sembra aver sorvolato le regioni del ricordo con un movimento circolare che possiamo immaginare a partire dalla mano protesa, a destra della città – o, più verosimilmente, lungo il confine tra i due mondi a partire da Valentina. Tale confine, infatti, parte dai piedi di Valentina, segue la curva del suo corpo che è anche quella del tronco dell’albero, e prosegue lungo una curvatura che è il corpo di Valentina a imprimere, come un colpo di frusta, e si esaurisce aprendosi nel cielo in cui si libra il re-musico-poeta.
Ed ecco, nella III tela, il matrimonio tra Chagall e Bella: i volti degli sposi non lasciano dubbi. Lei è una cometa bianca, lui un’edera attorno a lei che gli si appoggia (così anche nella IV tela). Il baldacchino nuziale è retto da figure celesti. Un angelo emozionato (il viso è verde) regge un candelabro. Cielo e terra costituiscono un solo paesaggio, popolato tanto di presenze umane quanto di presenze angeliche: le nozze avvicinano e uniscono non solo i due sposi, ma l’universo intero, in tutte le sue dimensioni – non è bene cercare interpretazioni troppo rigide. L’angelo a destra suona lo shofar: è Kippur – il mondo appena creato incontra già un “perdono”, è già oggetto di una chesed (tenerezza, amore gratuito), e il tempo è appena iniziato. Vitebsk e Gerusalemme si specchiano una nell’altra, ma un viandante emozionato (verde in viso), piccolissimo nelle dimensioni, quasi invisibile nel mondo rovesciato, si allontana da Vitebsk: è Chagall, còlto profeticamente nella vedovanza che avrebbe dovuto vivere? (Al matrimonio, dunque, c’era sì lo sposo, ma anche il vedovo era presente). A destra in basso ritroviamo l’asinello che accompagna il viandante, trasformato in re-poeta, emozionato anch’esso e traboccante di canto (ha il viso giallo come l’arpa di Davide nella tela precedente).

In alto a sinistra c’è Chagall stesso che guarda e dipinge: questo ciclo, dunque, è frutto del guardare, non del sognare. Chagall ritrae dal vivo, come en plein air, una realtà presente e visibile: il ricordo del proprio matrimonio con Bella. A sinistra, in basso, c’è una donna seminascosta tra le fronde, concentrata in sé, come in attesa; al suo viso, esattamente, si dirige lo sguardo del pittore. Il viso è identico a quello della donna in basso a destra nella II tela: è Valentina.

La coppia in basso a sinistra è bianca nella propria intimità. E’ la realtà originaria, sacra già in se stessa: l’attrazione sessuale, il legame intimo tra uomo e donna, diverso da ogni altro. Il matrimonio lo dichiara, lo rende manifesto – ma la sacralità è già presente, e viene dall’inizio del mondo: dalla creazione. Lasciarsi sedurre, lasciarsi attrarre, stipulare questo legame, vivere la forza misteriosa che unisce un uomo alla sua donna e a nessun’altra, è un atto dovuto di fedeltà creaturale.
E’ chiarissima, la IV tela: ecco gli sposi, e un cavallo che li porta gentilmente nel cielo offrendo fiori; la città che fa festa, con la moltitudine dei suoi abitanti. C’è un gallo appallottolato ad arco sulla propria schiena, a sinistra. Nella cultura yiddish, come in tante altre, il gallo annuncia il sorgere del sole, ed è un momento particolarmente significativo, in cui sono prescritte preghiere particolari. Nelle berakhot (benedizioni) del mattino, ve n’è una a Dio “per aver concesso al gallo l’intelligenza per distinguere il giorno dalla notte”. Il cielo, qui, è notturno o diurno? Nessuno può dirlo. E’ come se il tempo stesso si trovasse, per fare festa ai due sposi, nella stessa posizione del gallo.

14 feb 2011

Io però non ho sfilato

Sono vicina col cuore a tutte quelle donne che ieri hanno deciso ancora una volta di scendere in una piazza, pretendendola apolitica e trasversale, per manifestare la propria indignazione difronte a comportamenti offensivi, volgari, antiestetici. Io però non ho sfilato perché:
1- non devo essere io a cacciare via un governo ( o meglio, classe politica in toto) di mostri che in nome del neoliberismo, in combutta con una finta opposizione complice e velleitaria, ha devastato il territorio, inquinato l'inquinabile, creato debito e disoccupazione, fatto leggi che hanno abolito il falso in bilancio, incentivato l'evasione fiscale, deregolamentato i rapporti di lavoro, elargito soldi a pioggia in nome dell'emergenza e dei grandi eventi, continuato pretestuosamente una guerra ingiusta e assurda. Di scuola, ricerca, giustizia e svariate battaglie civili non merita parlare perché argomenti ormai talmente avulsi dal nostro vivere quotidiano dall'apparire esercitazioni mentali.
2- In particolare non posso cacciarlo via sulla base di risibili comportamenti privati di un individuo che da trenta anni almeno è in odore di mafia, evasione fiscale, concussione, corruzione e conflitto di interessi e che nessuno, proprio nessuno, a cominciare dagli esimii D' Alema e Violante, ha contrastato in alcun modo.
3- Non mi sento di invocare un trattamento di disparità cogli uomini perche i giovani maschi di questo paese ( o dovrei dire di questo emisfero, di questo mondo tutto), come anche i bambini, sono oggetto di mercificazione come e più delle donne.
4- Nel momento in cui chiedo le dimissioni di un governo a furor di popolo mi pongo anche io fuori dalle regole democratiche e dalla costituzione ed entro in un ambito diverso in cui si prende atto che non esiste più una norma fondante condivisa. In questo ambito la piazza non è festosa, non canta e balla e non porta striscioni bensì mazze e fucili.
5- Nella mia non breve vita ho forse sfilato troppo, con bandiere dai colori più svariati, contro guerre che non sono riuscita a fermare, a fianco di politici a cui avrei in seguito dovuto sputare in faccia, per battaglie civili che ho creduto di vincere ma che non era più nemmeno necessario combattere.
6- Sono convinta che la mia generazione e le due o tre che la seguono, nella loro appartenenza di nascita e di territorio, in virtù dei redditi di trasferimento di cui ancora usufruiscono, non hanno né la forza né il diritto di mettersi alla guida di qualsivoglia movimento. Possono solo sforzarsi di restituire alle parole e agli atti quell'essenza di significato che hanno e cominciare a seguire il laico insegnamento del Cristo sì, sì, no, no.