25 apr 2011

MARC CHAGALL, l'ebreo bielorusso

Le opere di Chagall con Bella (in particolare quei pochi famosissimi quadri da cioccolatini in cui lei si libra nell'aria e lui le tiene la mano, lui è a cavalcioni su di lei e brinda con un calice rosso oppure entrambi volano abbracciati ) sono spesso utilizzate e abusate per rappresentare passioni e legami forti e intensi, avulsi dal contesto spaziotemporale del quotidiano. Ciò è particolarmente fuorviante e non aderente al concetto di nozze, famiglia e amore proprio di Chagall, che ebbe due spose, l'amata Bella, che MORI' nel 1944, e Valentina, compagna della seconda parte della sua vita.


IL CANTICO DEI CANTICI DI MARC CHAGALL
http://artemoderna.gqitalia.it/10/chagall-cantico-de--cantici/


ago
2009

Chagall: Cantico de' Cantici

scritto da Marta Breuning alle 13:46
La sposa
16 Lèvati, aquilone, e tu, austro, vieni,
soffia nel mio giardino
si effondano i suoi aromi.
Venga il mio diletto nel suo giardino
e ne mangi i frutti squisiti.



Cap. 5
Lo sposo
1 Son venuto nel mio giardino, sorella mia, sposa,
e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo;
mangio il mio favo e il mio miele,
bevo il mio vino e il mio latte.
Mangiate, amici, bevete;
inebriatevi, o cari.
QUARTO POEMA
La sposa
2 Io dormo, ma il mio cuore veglia.
Un rumore! E' il mio diletto che bussa:
«Aprimi, sorella mia,
mia amica, mia colomba, perfetta mia;
perché il mio capo è bagnato di rugiada,
i miei riccioli di gocce notturne».
3 «Mi sono tolta la veste;
come indossarla ancora?
Mi sono lavata i piedi;
come ancora sporcarli?».
4 Il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio
e un fremito mi ha sconvolta.
5 Mi sono alzata per aprire al mio diletto
e le mie mani stillavano mirra,
fluiva mirra dalle mie dita
sulla maniglia del chiavistello.
6 Ho aperto allora al mio diletto,
ma il mio diletto gia se n'era andato, era scomparso.
Io venni meno, per la sua scomparsa.
L'ho cercato, ma non l'ho trovato,
l'ho chiamato, ma non m'ha risposto.



Tra queste tele, troviamo le cinque tratte dal Cantico dei cantici, nella sala dedicata con tanta forza e chiarezza “A Vava, mia moglie / mia gioia e mia allegria. // Marc Chagall”.

La dedica, autografa e firmata, con i tre possessivi di prima persona, sembra segnalare una specie di anomalia: come se Chagall (e Vava con lui), che non aveva voluto intitolare il museo alla propria persona ma al Messaggio biblico, avesse voluto indicare la peculiarità del ciclo del Cantico; anche la posizione rispetto alle altre tele conferma l’impressione che in esso sia esposto un nucleo intimo, meritevole di particolare raccoglimento. Non si tratta, infatti di una semplice illustrazione del contenuto del Cantico, il poemetto d’amore della Scrittura che sia la tradizione ebraica sia la riflessione cristiana hanno sempre interpretato in senso allegorico, come raffigurazione del rapporto tra Dio e Israele (così, ad esempio, Rashi di Troyes, uno dei più illustri commentatori) o tra Dio e la Chiesa (Origene, Ambrogio, Agostino) o addirittura tra Dio e l’anima del singolo credente (Bernardo di Clairvaux, i cui Sermones super Cantica sono un capolavoro della teologia mistica medievale). Ciò che Chagall propone è una lettura personalissima e insieme un esercizio di sguardo tutto ebraico, radicato nella cultura ebraica dell’Europa dell’Est da cui il pittore proveniva e la cui sostanza portava con sé.

La lettura ebraica delle Scritture ha il suo vertice nel midrash – che è lettura-ricerca, amorosa e coinvolgente. E’ lettura aperta, che non sa quel che cerca e accarezza il testo fino a udirne la voce; è lettura che implica la relazione tra l’uomo che legge e il libro che viene letto, ma anche tra Dio e il mondo e tra entrambi e l’uomo stesso. Il midrash accoglie una pluralità di sensi senza pregiudizio per la verità, perché ciò che si cerca è una verità relazionale; è corale, e tutta la tradizione vi è presente – ma è anche personalissimo, impossibile senza il coinvolgimento immediato di colui che legge. E’ ben più che un’esegesi, perché il punto di arrivo non è una nuova comprensione del testo, bensì una novità nella vita concreta di chi si pone in dialogo con il testo. Quello di Chagall sul Cantico dei Cantici è un vero midrash – realizzato con i colori anziché con le parole.

fonte :internet articolo tratto da rivista Linea diretta
Questa è la tela più completa: tutti gli elementi delle precedenti vi sono in qualche modo compresi o richiamati. Il centro, come nella I, nella II e nella III, è spostato a destra: sono i due uccelli schiena contro schiena, che si dipartono in due direzioni diverse. A sinistra, la colomba vola verso Marc e Bella, sposi giovanissimi: i visi di entrambi non lasciano dubbi sull’identità. A sinistra della colomba, dunque, è rappresentata l’epoca del matrimonio tra Marc e Bella, sintetizzato nei suoi elementi essenziali: la colomba stessa, il sole e la luna fusi assieme, i volti come isolati da tutto, il gesto emozionato della passione – la loro vita in due, alta su Vitebsk (a sinistra, ben visibili, le cupole della cattedrale ortodossa di Vitebsk, presenti anche nella III tela). Quel sole fuso con la luna, forse, rimanda all’innocente baldanza, alla spensieratezza un po’ clownesca di due giovani nei primi tempi del loro matrimonio – quella speranza sorridente e un po’ chiassosa di cui difficilmente il mondo ha pietà o rispetto. A destra, invece, l’uccello rosso (un corvo, forse, legato al lutto e alla sventura), sul capo di chi si va allontanando da Vitebsk (il viandante della III tela) portando un’arpa scura come la propria veste (è dorata, invece, l’arpa del re-poeta nella II tela): è il momento del lutto, e dell’inevitabile esilio dal mondo che il lutto rappresenta – quel durissimo dover andare, stringendo al petto il poco che resta: doversi allontanare per sempre, senza speranza, dal mondo conosciuto.
La figura all’estrema destra non è un fantasma né una figura di sogno: è Valentina, la sposa futura, che sorge da Gerusalemme, diafana come chi ancora non è nel mondo delle presenze; si dirige verso l’esule, ed egli le va inconsapevolmente incontro. Altre figure popolano il quadro; significativo, soprattutto, l’agnello incoronato in basso a sinistra, che è animale messianico – come se questo esilio tutto personale contenesse una promessa di salvezza, in parallelo all’esilio di Israele. Le tavole del Patto stanno a destra, in basso. Al centro, sempre in basso, il libro aperto: è il Cantico della I tela – anche il lutto e l’esilio ne fanno parte, così come la sposa futura, come Vitebsk e Gerusalemme e il mondo intero. E’ una storia d’amore – è sacra, è vera.
Chagall, dunque, ha composto il proprio Cantico dei cantici: un poema su ciò che l’amore fu nella sua vita – sui suoi colori, sui vòlti e le figure che vi ebbe. Allo stesso tempo, ci ha dato un poema sull’amore nella vita di Israele, e un midrash inarrivabile sul testo delCantico.
L’imperativo sembra essere uno solo, tutto ebraico:izqòr, ricorda. E, insieme, shemà, ascolta – con gli occhi, certo, ma pur sempre “con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze”.

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INella prima tela, abbiamo di fronte un dialogo gioioso tra le varie dimensioni della realtà: un mondo animato di presenze molteplici. Tutto sembra dipartirsi dalla coppia in basso a destra[1]: la diagonale centrale unisce due emisferi della realtà, che non sono in reciproca opposizione ma che si richiamano e si riprendono a vicenda. Come è detto nel Cantico dei cantici, la testa della sposa è sul petto dello sposo, e la destra di lui l’abbraccia; a sinistra, verso l’alto, c’è un’altra coppia nello stesso atteggiamento – un re coronato, certamente Davide, assieme a Betsabea, la donna per la quale arse di passione fino a violare ogni legge umana e divina. A destra, in basso, abbiamo un libro aperto: è il Cantico stesso; a sinistra, in alto, troviamo il trono di Gerusalemme e i simboli dell’Alleanza. A destra, in basso, vediamo una colomba, legata a Noè e al patto tra Dio e l’umanità (Dio promise che mai più dopo il diluvio, qualunque cosa fosse accaduta, avrebbe annientato la sacralità della vita terrestre, con il suo brulicare di coppie feconde). La colomba annunciò il ritiro delle acque, e con esso la possibilità di una rinascita della vita stessa; già nel racconto della creazione, Dio distinse una prima volta l’asciutto dal bagnato e assegnò la terra emersa alle creature terrestri perché vivessero e si moltiplicassero. In alto, a sinistra, vediamo una mano, assieme alla luna e alla stella di Davide. La mano dal cielo ci riporta alla creazione e anche all’azione di donare l’Alleanza da parte di Dio; la luna governa le maree e con esse il ritiro della acque, regola il ciclo femminile ed è legata al tempo, perché il calendario ebraico è lunare, ed è la luna che segna i momenti della vita dell’intero Israele; la stella di Davide, unita a tutto questo, sembra dirci che siamo di fronte a una concezione dell’amore tipicamente ebraica, legata al Patto, che fa parte dell’alleanza tra Dio e Israele (e tra Dio e tutta l’umanità e gli esseri viventi in generale): l’amore è realtà creaturale.
La diagonale principale, inoltre, divide il mondo in due, ma con corrispondenze forti: a sinistra, la città (Gerusalemme) diventa luogo di ricerca, di desiderio e di schermaglia amorosa (come è nel Cantico); a destra, invece, si apre una porzione di universo animata e assai suggestiva, come uno specchio appagato e armonioso dell’altra
II

La seconda tela sembra raffigurare un sogno: una dormiente sta distesa nella chioma di un albero coricato, sopra una città addormentata, da cui una mano si protende alla luna, mentre un re-poeta si libra nell’aria; c’è un volto maschile nella chioma dell’albero reclinato, assieme alla testa di un asinello; una donna è accostata al tronco, alla base dello stesso albero, mentre un gregge pascola, e le case sono come un altro gregge nella lontananza. Eppure, non si tratta di un sogno: è la rappresentazione spaziale di una peculiare concezione del tempo, tutta ebraica, e della vita di Chagall stesso.

Nel museo di Nizza è presente un altro albero coricato: si trova nel mosaico posto all’esterno e visibile da una vetrata, nella sala accanto a quella del Cantico. Il mosaico rappresenta lo zodiaco, con al centro il profeta Elia; in corrispondenza della Bilancia c’è un albero coricato. Bella morì sotto quel segno; Chagall la chiamava “il mio albero della vita”. Nella II tela del Cantico, il viso della dormiente è esattamente il viso di Bella: la dormiente è Bella nella morte in cui si trova ora, quando Marc dipinge. La sala del Cantico è dedicata a Valentina (Vava) Brodskij, nuova moglie di Chagall: tutto ciò che egli ha posto in questa sala riguarda direttamente le due donne della sua vita - la delicatezza del loro rapporto, la loro rispettiva e assoluta unicità in due diverse stagioni dell’esistenza, la loro inspiegabile compresenza, ciascuna nella propria verità.

L’albero della vita è stato divelto: esso permane nel tempo a venire, così coricato; e contiene Bella abbandonata, dormiente. Bella ha lo stesso colore dell’albero, che è a sua volta lo stesso del mondo di cui l’albero occupa tanta parte. E’ librata sulla città, sospesa, chiusa in se stessa, inaccessibile, alta su Gerusalemme, sulla luna, su una mano che dalla città addormentata si protende alla luna stessa, al cielo, a Dio e a lei: è parte di un universo etereo, raccolto come in un grembo di luce chiara e soffusa, il cui confine è segnato da una linea curva e luminosa (è un mondo sempre rosso, ma misto al bianco); la città e il mondo che sta sotto di lei, invece, sono aperti e disposti orizzontalmente. L’albero, che attraversa i due mondi e ne assume entrambi i colori ha le radici nel mondo più rosso, quello in basso: dove pascolano le pecore, la città vive e la mano si protende nel cielo - per desiderio o in preghiera o, perché no?, per entrambi.

A sinistra, in basso, un’altra donna sembra uscire dallo stesso albero: è Valentina, possiamo affermarlo senza ombra di dubbio (anche alla luce della tela che segue, e delle fotografie che la ritraggono). Anche lei guarda verso lo spettatore, ma con gli occhi aperti. Non che lei sia piccola, mentre Bella è grande: ciascuna è del colore e della dimensione della parte del mondo in cui vive. Bella è più grande, ma è più bianca: il ricordo, si sa, dilata, ma toglie anche consistenza. Valentina è rossa come il suo mondo, ed è in proporzione con gli elementi che lo compongono: città, case, pecore. Bella è nuda, abbandonata nel sonno e vive nella chioma coricata del tronco; Valentina è in piedi, vestita, gli occhi aperti, appoggiata al tronco. La presenza del gregge sembra legata a lei: nel Cantico (I, 7), l’amata è una pastorella.

Il tempo può morire; il tempo può nascere. Non ha cicli, ma stagioni: è fatto di unicità diverse, irripetibili, mai in competizione tra loro né tali da annullarsi a vicenda; possono parlarsi, invece, e aiutarsi reciprocamente, custodirsi e benedirsi l’un l’altra. Non devono confondersi, perché sono unicità, non iterazioni. Nella stagione di Bella – chiusa in sé, ravvolta in un grembo ovattato, aerea - c’è Vitebsk: è l’asinello in alto a destra, che così spesso rappresenta la cittadina natale nei quadri di Chagall, e ne è l’emblema. C’è Chagall stesso: un volto giovane accanto a Bella, che di lei e del suo mondo ha lo stesso colore (ed è indubbiamente il volto di Chagall, che si autoritrae tornando ai propri lineamenti di allora). Quando muore una moglie amata dall’adolescenza, porta con sé la nostra giovinezza, assieme agli anni e ai luoghi – solo accanto a lei li potremmo ritrovare, nel suo mondo. Nella stagione di Valentina c’è la città, rossa e intensa; c’è il gregge che pascola, e con il gregge le mille cure quotidiane di chi veglia; c’è la mano che sale verso il cielo - invocazione e speranza.

Nel cielo di Bella c’è anche il re-poeta, con due ali: una verde (nella cultura yiddish, il verde è il colore dell’emozione, e si dice “sono verde” per “sono emozionato”), e l’altra bianca. Bianche sono tutte le spose delle tele del ciclo, bianco è il trono, bianca sarà la coppia della tela seguente: il bianco, dunque, sembra essere il colore della nuzialità – o meglio, di ciò che è originario, creato da Dio che lo vide buono e lo benedisse per farne una parte imprescindibile della vita umana. Il trono di Israele è bianco per questo: è nel Patto - siamo in ambito ebraico.

Unico è il colore, diverse sono le tonalità; diverse sono le dimensioni delle figure, perché diversa ne è la consistenza; ognuna delle due donne abita a modo proprio nella vita di Chagall. Bella ha gli occhi chiusi, Valentina li ha aperti; Bella è inconsapevole, passiva, mentre Valentina veglia e agisce. Nessuno può arrivare a Bella senza attraversare Valentina; nessuno può toccare il tronco che Valentina custodisce nelle sue radici, difendendolo da chiunque; è grazie a lei che Bella permane così eterea, nel suo mondo chiuso come un grembo. Il tempo è uno, e la sua essenza è il rosso dell’amore e del sangue, cioè il colore di ciò che è creato, pur nelle sue diverse gradazioni; molteplici le unicità; delicatissimo il loro rapporto.

Posso aggiungere, a titolo personale: nulla finisce, tutto si compie. Nulla resta, tutto vive la propria stagione e compiendola affianca, sostiene, nutre e benedice le nuove stagioni. La consapevolezza di questa creaturalità “stagionale” ìnsita nel tempo esige una fedeltà profonda - del resto, fedeltà (‘emunà) è la parola ebraica per dire “religione”.

Le figure in alto a sinistra, forse, ci dicono che non siamo soli: il mondo è popolato anche di figure che non vediamo né conosciamo – anzi, che non immaginiamo. Non è obbligatorio dire esattamente chi siano. Sta scritto che “non è bene che l’uomo sia solo”, e non sappiamo fino a che punto l’Eterno si sia spinto nel darci compagnia.

Giustamente, una mano si protende alla luna. La luna, s’è detto, è legata al ciclo femminile, alle maree, alla vita (ritiro delle acque), al tempo (calendario lunare). Forse, l’aspetto prevalente è quello del rapporto tra la femminilità, con i suoi cicli di fecondità, e il mistero delle stagioni in cui il tempo articola se stesso. L’alone della luna è rosso, ma più vivo nel grembo etereo che custodisce la dormiente; e la luna ha, nel rosso vivo del mondo di sotto, il colore chiaro di quello stesso grembo. E’ la luna, non la dormiente, il centro di irradiazione del quadro, la cui struttura è simile a quella del precedente, solo un po’ più articolata. Lungo una serie di diagonali, a partire dalla luna, troviamo il viso di Bella, l’asinello di Vitebsk, il viso del pittore, il re-poeta Davide, il trono di Gerusalemme, e poi Gerusalemme e Valentina sulla stessa linea orizzontale. La direzione dell’albero coricato è contraria a tutte le altre: l’albero della vita ha incontrato la morte; la vita, cioè, ha invertito la propria direzione; il ricordo e il mondo ricordato si dipartono all’indietro dal presente. Fondamento del presente, che rende possibile anche l’esistenza del ricordo nelle sue caratteristiche, è Valentina.

Resta l’albero in alto a destra: vuole richiamarci il carattere onirico del quadro? Non credo, perché qui di onirico non c’è nulla: la realtà viene rappresentata con un’evidenza e una precisione impressionanti. Fa pensare piuttosto alla libertà del reale: se un albero volesse stare a testa in giù con le radici nel cielo e l’Eterno acconsentisse, non dovremmo né stupirci né sentirci offesi. Ci sarebbe da riflettere anche sulla figura del re-poeta e sulla sua arpa: qual è il luogo dell’arte, quali le sue ragioni e caratteristiche. Davide sembra planare cantando e suonando sul trono bianco di Gerusalemme; bianche sono le sue ali, una delle quali è colorata di verde; sembra aver sorvolato le regioni del ricordo con un movimento circolare che possiamo immaginare a partire dalla mano protesa, a destra della città – o, più verosimilmente, lungo il confine tra i due mondi a partire da Valentina. Tale confine, infatti, parte dai piedi di Valentina, segue la curva del suo corpo che è anche quella del tronco dell’albero, e prosegue lungo una curvatura che è il corpo di Valentina a imprimere, come un colpo di frusta, e si esaurisce aprendosi nel cielo in cui si libra il re-musico-poeta.
Ed ecco, nella III tela, il matrimonio tra Chagall e Bella: i volti degli sposi non lasciano dubbi. Lei è una cometa bianca, lui un’edera attorno a lei che gli si appoggia (così anche nella IV tela). Il baldacchino nuziale è retto da figure celesti. Un angelo emozionato (il viso è verde) regge un candelabro. Cielo e terra costituiscono un solo paesaggio, popolato tanto di presenze umane quanto di presenze angeliche: le nozze avvicinano e uniscono non solo i due sposi, ma l’universo intero, in tutte le sue dimensioni – non è bene cercare interpretazioni troppo rigide. L’angelo a destra suona lo shofar: è Kippur – il mondo appena creato incontra già un “perdono”, è già oggetto di una chesed (tenerezza, amore gratuito), e il tempo è appena iniziato. Vitebsk e Gerusalemme si specchiano una nell’altra, ma un viandante emozionato (verde in viso), piccolissimo nelle dimensioni, quasi invisibile nel mondo rovesciato, si allontana da Vitebsk: è Chagall, còlto profeticamente nella vedovanza che avrebbe dovuto vivere? (Al matrimonio, dunque, c’era sì lo sposo, ma anche il vedovo era presente). A destra in basso ritroviamo l’asinello che accompagna il viandante, trasformato in re-poeta, emozionato anch’esso e traboccante di canto (ha il viso giallo come l’arpa di Davide nella tela precedente).

In alto a sinistra c’è Chagall stesso che guarda e dipinge: questo ciclo, dunque, è frutto del guardare, non del sognare. Chagall ritrae dal vivo, come en plein air, una realtà presente e visibile: il ricordo del proprio matrimonio con Bella. A sinistra, in basso, c’è una donna seminascosta tra le fronde, concentrata in sé, come in attesa; al suo viso, esattamente, si dirige lo sguardo del pittore. Il viso è identico a quello della donna in basso a destra nella II tela: è Valentina.

La coppia in basso a sinistra è bianca nella propria intimità. E’ la realtà originaria, sacra già in se stessa: l’attrazione sessuale, il legame intimo tra uomo e donna, diverso da ogni altro. Il matrimonio lo dichiara, lo rende manifesto – ma la sacralità è già presente, e viene dall’inizio del mondo: dalla creazione. Lasciarsi sedurre, lasciarsi attrarre, stipulare questo legame, vivere la forza misteriosa che unisce un uomo alla sua donna e a nessun’altra, è un atto dovuto di fedeltà creaturale.
E’ chiarissima, la IV tela: ecco gli sposi, e un cavallo che li porta gentilmente nel cielo offrendo fiori; la città che fa festa, con la moltitudine dei suoi abitanti. C’è un gallo appallottolato ad arco sulla propria schiena, a sinistra. Nella cultura yiddish, come in tante altre, il gallo annuncia il sorgere del sole, ed è un momento particolarmente significativo, in cui sono prescritte preghiere particolari. Nelle berakhot (benedizioni) del mattino, ve n’è una a Dio “per aver concesso al gallo l’intelligenza per distinguere il giorno dalla notte”. Il cielo, qui, è notturno o diurno? Nessuno può dirlo. E’ come se il tempo stesso si trovasse, per fare festa ai due sposi, nella stessa posizione del gallo.

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